2016/03/04

Sogno di una mezza estate, la notte

La notte guidava la mano.
La mano volitiva, la mano generosa, la mano paurosa.
La mano abituata a prendere baveri di kimono. Ad impugnare un volante.
La mano sulle sei corde di una chitarra, la mano che arpeggia, digita, tocca uno schermo, carezza i jeans e la barba nei momenti di nervosismo.
La mano con quell’anello d’oro bianco e rosa.


Lei guidava la mano.
Lei che più di sempre era più bella, più orgogliosa e forte.
Più rossa nei capelli appena tinti.
Come un raggio impertinente di tramonto, che ricade sul collo candido come perla.
Lei che rappresentava la perfezione e l’imperfezione desiderata da sempre.
Lei, tanto simile alla donna che - sognata più volte - lo portava via per mano verso campi di grano e lavanda provenzale.


Lei così volitiva, forse incostante, sì. Ma mai cambiata.
Lei così sicura e certa anche delle incertezze. Adorabile sinestesia.
Lei dalla forza, lei dalla fragilità, dalla tenerezza incontrollabile che ispirava dalle mani di lui.


Il presente.


Lui che ora guarda la mano inanellata.
Che respira un refolo di lavanda.
Che pensa al candore di perla, ad una ciocca di tramonto.
Ed in punta di piedi - che non si desti - posa la penna e si avvia verso il letto ove lei riposa.


“ti amo mia musa, mia musica”

Ed è una mano che accarezza smisuratamente.

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